Gaetano Afeltra, Corriere della Sera, 3-4-2002
Helenio Herrera,il grande allenatore argentino scomparso cinque anni fa, è entrato nella storia del calcio mondiale col nome di "Mago". E i maghi, si sa, hanno segreti che non svelano a nessuno. Quale emozione, allora, poter accedere direttamente ai loro libri sacri: il libro, in questo caso un volumetto di ottima cura editoriale ("Tacalabala"), è quello pubblicato in questi giorni dalla moglie di Herrera, Fiora Gandolfi, la giornalista che dopo averlo incontrato a Roma per un'intervista divenne la compagna della sua vita. Con la sua personalità magnetica, le tecniche innovative, il fascino del gesto e della parola, Herrera, il cui nome evoca immediatamente la grande storia dell'Inter,rivoluzionò il mondo calcistico nell'Italia degli anni Sessanta. Grazie al suo estro inesauribile, scombussolò le tattiche di gioco, escogitando imprevedibili cambi di ritmo, il movimento totale, il "calcio totale".
E' ora un piacere sfogliare questo piccolo libro di appunti, massime di comportamento e regole strategiche che, per formato e impaginazione, dà l'impressione di avere fra le mani proprio il taccuino di Herrera. A ogni pagina di trascrizione se ne affianca una in originale, vergata di suo pugno in quella caratteristica grafica minuta, ordinata, con sottolineature in rosso dei concetti che voleva evidenziare. Scriveva su cartoncini rigidi e carta a quadretti, che spesso reincollava su fogli di carta più pesante perchè non si sciupassero. A tutta pagina, è riprodotto uno schema di gioco dove tratti sottili e decisi salgono e scendono a formare picchi e avvallamenti in un diagramma vibrante di tensione agonistica. Il titolo di questo taccuino a stampa, "Tacalabala", ha un suono originale e un'origine che hanno a che fare con la fama di mago che lo circondava : quando Herrera arrivò all'Inter nel 1960, in squadra c'erano molti giocatori veneti, come Buffon, Fongaro e Corso (poi arrivarono Tagnin e Bedin). Il loro grido di guerra era appunto "taca la bala", cioè "attacca il pallone". Herrera, che veniva da Barcellona, pensò che quello fosse il nome con cui in Italia si chiamava la "pelota". L'espressione gli piacque : quella frase, che aveva una curiosa assonanza con "abracadabra", sulle sue labbra assunse il valore di una formula propiziatoria, diventò il segnale cifrato per incitare i giocatori ad attaccare senza perdersi in frivolezze : era nato il pressing.
Del resto, servirsi di più lingue mescolate insieme era un'altra delle sue geliali alchimie: spesso, parlando,usava un suo personalissimo esperanto, una lingua universale che gli veniva da un miscuglio di francese, spagnolo, italiano, inglese, arabo, un espediente fantasioso per concentrare quello che voleva dire nel minor numero di parole. Perché, diversamente da quanto si potrebbe immaginare, Helenio Herrera era un amante del silenzio. H.H., la sigla del suo nome,veniva scherzosamente letta come "Habla Habla"; "Parla Parla" , in spagnolo. Invece, era tutto il contrario : parlava pochissimo,pronunciava le frasi essenziali per centrare l'obiettivo.Un po' come usava fare nella tattica calcistica, anche nel parlare bisognava arrivare al gol senza dribblare."Parlons peu, parlons bien": "Parliamo poco,parliamo bene", diceva.
Quando arrivò in Italia, nell'estate del 1960, ingaggiato dall'Inter di Angelo Moratti, il pubblico sportivo sapeva poco o nulla di lui, tranne che prima d'allora aveva allenato in Spagna. Nato a Buenos Aires nel 1916, dopo una carriera di calciatore Herrera aveva esordito in panchina come allenatore di squadre francesi, per poi trasferirsi appunto in Spagna, dove a partire dal 1948 allenò il Valladolid, l'Atletico Madrid, il La Coruna, il Siviglia e dal '58 al '60 il Barcellona.
Fin dai primi istanti della sua discesa sui campi di gioco, i tifosi cominciarono a capire che quello non era un comune allenatore. Il "Mago", lo soprannominarono, e tale rimase per tutti. Con lui al ponte di comando, l'Inter vinse tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali. Come ricordava con orgoglio, era stato l'unico tecnico ad aver allenato tre nazionali: Spagna, Italia e Francia. Al suo arrivo a Milano successe quello che succedeva un po' dovunque intorno a lui: gli animi si divisero, si scatenarono le passioni più accese e gli astii più furibondi, equamente suddivisi fra le diverse tifoserie. Ai suoi giocatori, il Mago non chiedeva solo una ferrea preparazione atletica e tecnica: lui non si limitava a formarli come giocatori, ne forgiava la tempra umana.
La sua concentrazione, e quella che chiedeva ai suoi uomini, derivava da assidui esercizi di meditazione e autocontrollo. Se nella vita era un dongiovanni, nel calcio era il più austero dei monaci. Il suo modello spirituale era Ignazio di Loyola: dal santo spagnolo, fondatore della Compagnia di Gesù, Herrera attingeva precetti e tecniche; come sant'Ignazio descriveva i luoghi della Passione di Nostro Signore per meglio favorire la concentrazione, lui descriveva ai giocatori in tutti i dettagli le caratteristiche del campo, del paesaggio, il clima, la tifoseria che avrebbero incontrato in trasferta. Quando ancora non esisteva la televisione, per non arrivare impreparato si recava personalmente sui luoghi dell'avversario. Sul comodino dei difensori faceva tenere la foto dell'attaccante che avrebbero dovuto marcare. In analogia con i ritiri di meditazione consigliati da Ignazio di Loyola nei suoi "Esercizi spirituali", Herrera inventò i ritiri calcistici.
Le sue regole, pensate per temprare lo spirito agonistico, si addicevano perfettamente alla vita quotidiana: "La maggior parte degli ostacoli sono di natura mentale", ripeteva. Con chi si mostrava incerto nell'iniziativa, incalzava: "Se hai paura di fare una cosa, pensa che sicuramente un idiota la farà al posto tuo".
Cinquant'anni fa, le discipline orientali erano pochissimo note, e meno ancora praticate, ma già allora Helenio Herrera seguiva regole di vita ascetiche : alimentazione macrobiotica, meditazione yoga, rispetto degli orari di sonno e veglia, applicazione ferrea per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Anche in pieno inverno, faceva il "bagno d'aria", esponendosi completamente nudo alle basse temperature. Aveva assoluta fiducia nel potere della mente: "Il pensiero fa il carattere", diceva. Ogni mattina, dopo gli abituali esercizi yoga, ripeteva frasi di autosuggestione: "sono forte, sereno, tranquillo, non ho paura di niente, sono bello". Fra le sue massime, il mago del calcio aveva questa : "Tutte le disavventure della vita, confrontate con il mistero della morte, si ridimensionano".
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